Penso che molto del fascino degli scritti di James consista nel fatto che sceglie le parole con una particolare attenzione, e ciò l’ho trovato molto chiaro anche ascoltandolo nell’audio dell’Intervista dell’aprile 2008.
Gli scritti sono complessi e articolati, si servono di diversi stili e modalità espressive (saggio filosofico, conversazione, intervista, poesia, racconto, romanzo) per andare incontro alle esigenze personali dei lettori, per arrivare a trasmettere nella forma che meglio corrisponde alla sensibilità e all’apertura di chi legge degli insegnamenti che possono considerarsi sia generali che individuali.
Penso che negli scritti del Materiale dei WM James utilizzi le parole come strumenti di precisione, tanto che quando un termine ha perso nel corso del tempo il significato originario, dove l’uso corrente ne ha stravolto il senso o può portare il lettore ad attribuirgli significati vaghi o diversi, ne inventa di nuovi che successivamente, in tempi o contesti diversi, modifica.
A livello di studio individuale e personale, credo che in tutto il materiale scritto da James – sia come WingMakers che Lyricus o suo personale – l’attenzione alle parole che egli pone deve essere tenuta altrettanto in considerazione anche da chi legge.
Trovo, dunque, che gli scritti utilizzano due diversi modi operativi: 1) una scelta precisa dei vocaboli attingendo al loro significato originario, quindi spesso “etimologico” cioè risalente al momento in cui sono stati creati nei tempi antichi; e 2) la creazione di neologismi.
Nel momento in cui si vuole trasferire una conoscenza o un’esperienza che per sua natura proviene da oltre l’esperienza fenomenica (=materiale/fisica, conoscibile tramite i cinque sensi o valutabile dalla mente) si entra in quella impossibilità che il poeta esprime nei versi “Lingua mortal non dice quel ch’io provava in seno”. Tuttavia è da sempre desiderio umano quello di comunicare e/o ricevere informazioni che possano aiutare nel cammino verso la meta desiderata. Ecco, quindi, il tentativo di trasferire qualcosa a parole e la necessità che tali parole veicolino un significato “inequivocabile”, altrimenti l’equivocità della comprensione ingenera il fallimento della comunicazione stessa.
Volendo esemplificare il punto 1), se nel parlare comune “persona” e “individuo” sono spesso usati in modo intercambiabile (a volte solo per non stancare nella ripetizione), in un contesto di studio specie di carattere filosofico-“spirituale” potrebbero essere utilizzati nel loro significato originario. “Individuo” nei termini correnti è un qualsiasi essere umano a volte visto come numero e generico, mentre se si tiene conto del significato etimologico ha una profondità superiore al termine “persona”. Infatti, “individuo” viene da “indiviso, indivisibile”, e ciò sottintende una sorta di singolarità dell’essere in questione. “Persona”, invece, in origine significava “maschera” (da cui personaggio di un’opera teatrale o letteraria), e coinvolge gli aspetti più caratteristici e variabili dell’individuo, come appunto il carattere, il sesso, la cultura e così via. Così, nell’espressione “Coscienza Individualizzata” presente nella Filosofia dei WM, si ha a che fare con l’indicazione di una coscienza intrinsecamente a sé stante, unica, essenziale, che acquisisce successive caratteristiche e variabili in funzione dell’apprendimento esperienziale.
Per lo stesso motivo, quando poco sopra è scritto “a livello di studio individuale e personale”, anche se a prima vista l’utilizzo di due aggettivi talvolta intercambiabili può sembrare un espediente retorico (ripetizione a scopo rafforzativo) in realtà intende evidenziare due diverse connotazioni. Lo studio è individuale in quanto lo si pratica per conto proprio ed è personale in quanto ciascuno di uno stesso materiale prende in considerazione ciò che gli serve date le variabili di gusti personali, finalità dello studio stesso, istruzione e capacità che sono specifiche del singolo.
Tuttavia, a questa apparentemente rigida formalità , ecco contrapporsi un’altra del tutto diversa modalità di trasferimento di informazioni, cioè: 2) la creazione di neologismi. Quindi, oltre all’esplorazione approfondita del significato nel significante (parola), ci troviamo di fronte a una creatività di espressioni che cercano di superare gli schemi tridimensionali dei significati stessi (l’assunto stereotipato), per allargare quella che mi viene da definire una specie di “sensazione personale del significato”, che riporta il lettore/studioso a confrontarsi con la propria stessa comprensione per operare una scelta: cosa s’intende e cosa capisco o voglio capire?
“Non è per caso che il vocabolario cambia. Stabilisce un ritmo di adeguamento e serve a dissolvere paradigmi più vecchi, sostituendoli con i nuovi che sono più allineati con le energie in arrivo. (…) È così che funziona il nostro mondo attuale. Abbiamo bisogno di operare con flessibilità e naturalezza per permettere a ciò che trapela… di trapelare. Ciò significa che un giorno abbiamo bisogno di far nascere un nuovo concetto e il giorno dopo dissolverlo. Può sembrare instabilità o mancanza di armonia, ma l’armonia sta nella flessibilità di fluire con il vostro multiverso locale e tutto ciò che vi si incontra.” (Intervista a James, S3 di M. Hempel)
Questo mi ricorda anche una conversazione tra Sumpter e Ma-ah in Superanima Sette – La Scuola Celeste, di J. Roberts:
– Sumpter: “Guarda quell’immagine, e inventa una parola corrispondente” – Ma-ah: “Brambeta.” – Sumpter: “Ecco qual è l’immagine dell’albero in questo momento.” – Ma-ah: “Ma l’ho appena inventata!” – Sumpter: “Proprio così. Quando imponi agli oggetti dei termini troppo precisi ne percepisci la realtà in un modo limitato. Noi Interlocutori usiamo certe parole per poter classificare le cose, ma non facciamo mai l’errore di confondere l’oggetto con il nome che gli abbiamo dato. Tutto cambia in continuazione. Nessuna parola potrebbe mai esprimere l’intera realtà di un qualunque oggetto in tutti i suoi vari aspetti.” – Ma-ah: “Ma tu sei Sumpter. Questo è un nome.” – Sumpter: “Era il mio nome nel momento in cui me lo hai chiesto. – Ma-ah: ” Se non hai sempre lo stesso nome, come si fa allora a sapere chi sei? ” – Sumpter: “Lo dice il mio volto. Anche i miei amici mi chiamano con nomi diversi, a seconda del momento. E io chiamo me stesso come più mi aggrada…”
A ribadire questo concetto, anche riguardo allo stile poetico dei WM, viene detto:
“Il problema è che la poesia è così tanto interpretabile che è impossibile sapere con precisione qual è il tema a cui si riferisce. Inoltre, come ho già detto in precedenza, la grammatica e la sintassi del loro linguaggio è molto differente dalla nostra, non terminano le frasi usando il punto.
“In altre parole, se facessimo una traduzione alla lettera, non ci sarebbe una struttura della frase… un accostamento sintattico logico… il che semplicemente significa che un linguaggio astratto scorrevole sarebbe molto difficile da comprendere per la maggioranza delle persone. Quando ho fatto la traduzione delle poesie, ho composto la struttura della frase frammentandone il significato in modo che potessero essere meglio comprese. Forse nel processo ho alterato non intenzionalmente il significato, ma era l’unico modo, altrimenti la poesia sarebbe stata troppo astratta per essere capita. (La seconda intervista al dr. Neruda)
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