Ho lasciato libere le guardie che
stanno davanti alla mia porta.
Ho lasciato che le cellule si suicidassero collidendosi
finché non mi hanno preso.
Se ci fossero ancora storie da raccontare,
le ascolterei.
Dietro cataratte di panico incanalato
che spillano la loro orgogliosa progenie
posso celarmi nel rumore.
Essere invisibile ha i suoi particolari compensi.
E mantiene pur visibile la forma di vita duratura
che sussurra al di sotto della malvagità.
Questa è invero la sola creatura che mi preme conoscere,
con i modi luminosi di una dolce generosità che soffre
nel silente universo
di un orecchio non in ascolto.
Quando sarò trovato – dopo che me ne sarò andato –
dal cuore di un estraneo la cui punta di trapano
non è ottusa dall’impersonificazione,
aprirò gli occhi, mi sfilerò la pelle,
risveglierò il coma del cuore.
Metterò da parte la forma travestita e
rivestirò l’ospite
così che la sua immagine possa vedersi negli specchi
che ho esposto con parole instillate da Dio.
Quando queste parole sono dette,
un altro orecchio ascolta sull’altro lato
irraggiando comprensione come i laser la loro luce neutra.
La fossa comune del coraggio ci tiene tutti
nel portale della singolarità,
la scia-Dio di ricominciamento.
In qualche modo, così raramente, parole e immagini
conficcano il loro significato nei cieli e conquistano il tempo.
E quando lo fanno,
diventano l’abracadabra
del momento consacrato.
La pantomima della più profonda brama del pubblico.
Poi,
l’improbabile palpebra si spalanca,
la pelle si sfalda,
e l’eroico occhio si risveglia e rimane vigile.
Poi, le parole mangiano la carne lasciandosi dietro
l’indigesta amarezza.
La salma emozionale si spoglia,
un’insolubile solitudine.
Il calco della separazione.
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Testo originale: Afterwards – https://wingmakers.com/art/mixedmediagallery-ha/